giovedì 5 novembre 2015

fotografia-attrazione

Negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Il cinema delle origini o della "cinematografía-attrazione" fu caratterizzato dalla capacità di sbalordire il pubblico con l’utilizzo di trucchi ed effetti, in grado di attrarre lo spettatore in un mondo verosimile e allo stesso tempo  di restituire visioni fantastiche e sensazioni  di stupore. Il cinema prendeva forma ma ancora non sapeva bene quale sarebbe stato il suo ruolo, la strada da seguire. 
La fotografia dei nostri giorni appare altrettanto spaesata di fronte alle innovazioni tecnologiche del digitale. Il fotogramma congelato, come lo abbiamo conosciuto finora, sembra non essere più in grado, da solo, di svolgere la sua funzione di rappresentazione del mondo reale o immaginario. Video, fotografia, web vanno nella direzione di un unico linguaggio comunicativo. Immagine fissa e in movimento divengono un unico corpus narrativo. Questa trasformazione avviene sotto i nostri occhi. Reflex capaci di produrre video 4K dai quali estrarre fotogrammi fissi, realtà virtuale, fotografia immersiva e realtà aumentata sono solo alcuni esempi. 
Quasi inosservata è passata la novità introdotta da Apple con l’Iphone 6. La funzione “Live Photos”, fondendo foto e video, permette di catturare anche gli istanti prima e dopo lo scatto, con buona pace di Henry Cartier Bresson e del suo attimo fuggente. Una nuova possibilità espressiva  tutta da scoprire. Una delle tante strade che la fotografia si trova di fronte, per rinnovarsi e incamminarsi verso un nuovo paradigma visuale convergente. 

giovedì 1 ottobre 2015

Continuiamo così, facciamoci del male

Trovare nuove strade espressive e allontanarsi dalla visione comune è un esercizio assai arduo e ovviamente non alla portata di tutti. Guardando, però, i lavori di fotografi  della “middle class”, ovvero lontani dall’olimpo degli artisti affermati, ma comunque in grado di produrre ed esporre immagini valide e coerenti, sembra di trovarsi di fronte ad un immenso déjà-vu. 

Inquadrature rigidamente oggettive e ben allineate, come la scuola di Düsseldorf ci ha insegnato negli ultimi anni, colori desaturi e case, paesaggi, architetture immersi in un chiarore stereotipato. Un cliché che si ripete nelle foto appese in gallerie di medio e basso cabotaggio e sui social network, alimentato da “preset” e ”azioni” già pronte per l’uso. Un semplice click nel programma di post produzione, qualche curva o livello da impostare in pochi minuti.  

Bandite da questa candida visione  le ombre, il fuoco selettivo e il mosso appaiono argomenti desueti per il fotografo contemporaneo. Le mode fotografiche ci sono sempre state e l’immenso palcoscenico della rete contribuisce all’appiattimento e all’affermazione di un certo tipo di immagine. Un’immagine che in ogni caso sembra in grado di donare autorialità al povero fotografo senza grande ispirazione.  “Continuiamo così, facciamoci del male”, affermava  Nanni Moretti in un suo indimenticabile film. 

lunedì 14 settembre 2015

Non solo francobolli - Bolaffi fotografia

I francobolli incarnano il concetto stesso di collezione. Più delle monete o di qualsiasi altra memorabilia. Hanno un rapporto diretto con il tempo e sono legati alla storia della comunicazione e alla cultura degli stati che li hanno emessi. In Italia, dal 1890, il catalogo utilizzato dagli appassionati filatelici è quello edito da Bolaffi. Oggi l’azienda di Torino è un  punto di riferimento nel panorama del collezionismo nazionale e internazionale. Filatelia, numismatica, stampe, oggetti preziosi e da quest’anno anche fotografia. L’8 ottobre Bolaffi metterà all’incanto, allo Spazio Bigli di Milano, il suo primo catalogo di fotografie. Oltre 260 lotti che comprendono scatti di noti autori nazionali ed internazionali. Nella top list, con base d’asta di 5 mila euro verrà offerta ai collezionisti “Moon and half dome Yosemite National Park” di Ansel Adams. Molte anche le proposte di fotografi italiani tra i quali Giacomelli, Ghirri, Fontana  e Basilico con prezzi  che vanno dalle poche centinaia di euro ai 3 o 4 mila. Una buona occasione per chi vuole avvicinarsi al collezionismo fotografico  di autori ormai storicizzati, senza spendere cifre esorbitanti. Sul sito bolaffi.it è possibile scaricare il catalogo.

venerdì 28 agosto 2015

Instagram dal quadrato al rettangolo

Settanta milioni di immagini. Ogni giorno, in media, su instagram vengono caricate tante fotografie quante ne venivano realizzate in analogico in un anno. Tutto facile, tutto reso immediato dalla digitalizzazione e dalla rete. Unico sforzo richiesto, adattarsi al formato quadrato che ha reso famoso questo social network dedicato alla fotografia. Anche quest'ultimo vincolo da oggi non esisterà più. L’ultimo baluardo è caduto sulla spinta della community. Da oggi si potranno caricare immagini con orientamento orizzontale o verticale. 

L’ultimo vincolo, quello di comporre la foto scattata nel più angusto formato quadrato, non sarà più richiesto. Nessuna scelta compositiva se non quella eventualmente fatta sullo schermo dello smartphone. Il formato quadrato che grazie a instagram aveva vissuto una seconda giovinezza, verrà presto dimenticato dai “selfisti” e da tutti i giovanissimi “postatori” di serate al ristorante con gli amici. 
Il quadrato sarà  il ritrovo di una nicchia di fotografi pensanti o semplicemente un modo per condividere la propria originalità. 

In un suo film, qualche anno fa’, Nanni Moretti affermava: “anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c'è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un'isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza”. 

Ecco, anch’io credo che mi ritroverò con una minoranza e su instagram continuerò ad usare il buon vecchio formato quadrato.

giovedì 9 luglio 2015

Un salto nel vuoto - Linda Fregni Nagler

Il più famoso è senza dubbio Richard Prince, ma sono molti gli artisti fotografi e non, che utilizzano e si riappropriano di materiale fotografico esistente. Sfidando leggi sul copyright, sempre più obsolete di fronte alla velocità della rete e della digitalizzazione delle opere d’arte, molti artisti spesso a corto di idee, si incamminano sulla strada della riproduzione/risignificazione. Tra le ricerche più interessanti e concettualmente valide vi è quella di Linda Fregni Nagler. Un lavoro nel segno della riflessione sugli aspetti iconografici e narrativi della fotografia. Nella serie “Pour commander à l’air”, esposta per la prima volta nel 2014 nella mostra dei finalisti del Premio MAXXI, l’artista italiana nata a Stoccolma rifotografa da pagine di quotidiani d’epoca, delle persone nell’atto di cadere. Uomini e donne sospesi, congelati nell’istante incerto di un destino di cui nulla sappiamo. Gesti dall’esito imprevisto, fotografie private della didascalia che solitamente le accompagna sulle pagine dei giornali. Frame misteriosi, ingrandimenti di immagini analogiche spesso imperfette, rese ancora più grossolane dalle tecniche di stampa tipografica. I prezzi delle opere di Linda Fregni Nagler vanno dai 4000 ai 15000 euro. Quotazioni molto lontane da quelle di Richard Prince e che dovrebbero, ancora una volta, far riflettere sulle regole del mercato dell’arte contemporanea.

giovedì 18 giugno 2015

Legioni di imbecilli (anche fotografi)

"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. 
Questa frase di Umberto Eco, tratta da un discorso ben più ampio, è stata nei giorni scorsi, al centro di grandi polemiche sulla rete e non solo.  Aggiungerei che i social media danno anche diritto di pubblicare immagini a legioni di imbecilli fotografi che prima semplicemente non scattavano fotografie. 

Non si tratta di un discorso elitario. In questo caso il danno per la collettività è causato da un impoverimento della visione. Nel calderone globale della fotografia sulla rete, il rischio è quello di non riuscire più a guardare, a scegliere un discorso fotografico valido. Tutto è sopraffatto da un rumore di fondo fatto di fotografie tratte dal flusso della vita senza un perché, senza un senso che ne legittimi l’esistenza.  L’estetica stessa dell’immagine risulta imbarbarita dalla presenza di visioni penalizzanti, capaci con la loro massiva presenza di inquinare pian piano lo sguardo e abbassare drasticamente l’asticella della nostra percezione critica e qualitativa. Tutto viene velocemente inquadrato nello smartphone e caricato sui social, dato in pasto all’occhio sempre più pigro degli spettatori. 

Se tutto può essere fotografato e condiviso con il mondo, allora forse l’unico modo che abbiamo per difenderci da questa invasione è quello di non scattare. Tornare a fotografare con il contagocce o se proprio non possiamo fare a meno di “premere il grilletto”, che almeno sia abbia la forza di tenere le foto lontane dalla rete e non provocare feriti e vittime di immagini che non avrebbero mai dovuto vedere la luce.

venerdì 15 maggio 2015

Il cubismo fotografico di Pablo Picasso

Dipinto nel 1955 da Pablo Picasso, “Donne di Algeri” è stato nei giorni scorsi battuto all’asta per la cifra record di 179 milioni di dollari. Una notizia che ha generato clamore e nuovo interesse nei confronti del cubismo, la corrente artistica nata negli stessi anni nei quali le avanguardie, futurismo, dadaismo e surrealismo, sovvertivano l’idea stessa di arte, grazie alla sperimentazione di nuovi mezzi espressivi come la fotografia. Anche la ricerca sulla scomposizione prospettica, iniziata da Picasso e Braque nei primi anni del novecento fu influenzata dalla fotografia, come sembrano dimostrare le immagini fotografiche realizzate dal pittore e scultore spagnolo. Nel periodo nel quale stava lavorando al quadro “Les Demoiselles d’Avignon”, Picasso utilizzò materiale fotografico e realizzò ritratti fotografici di alcuni suoi amici e conoscenti. Tra questi particolarmente interessante è la foto che ritrae “Il doganiere Rousseau” (1910), una doppia esposizione nella quale appare evidente la scomposizione prospettica tipica del cubismo. La visione fotografica, già determinante per lo sviluppo dell’impressionismo, è ancora una volta capace di creare stimoli e nuove suggestioni per il mondo dell’arte. Quello stesso mondo nel quale la fotografia non riusciva a trovare una collocazione stabile, a causa della sua caratteristica di saper riprodurre fedelmente la realtà. Un “peccato originale” dal quale, solo negli ultimi decenni, sembra essere riuscita a liberarsi.      

venerdì 20 marzo 2015

Vintage è meglio

A giudicare dai risultati delle principali aste di fine anno, la fotografia continua a riscuotere un crescente interesse da parte del collezionismo internazionale, quello per intenderci capace di spendere cifre da capogiro per aggiudicarsi un’opera d’arte contemporanea da appendere in un lussuoso appartamento di New York, Mosca o meglio ancora Hong Kong. Tra novembre e dicembre dello scorso anno, Sotheby’s, Christie’s e Phillips hanno messo a segno alcune vendite di tutto rispetto. Oltre all’immancabile Cindy Sherman, che con una serie di ventuno stampe di piccolo formato ha oltrepassato i 5 milioni di euro, sono stati soprattutto gli autori storicizzati a farla da padrone. Eugène Atget, Tina Modotti, August Sander e Julia Margaret Cameron hanno visto superare i loro precedenti record d’asta. In particolare “Handlanger”, una stampa ai Sali d’argento di 21x14,8 cm del 1927 di August Sander è stata battuta da Sotheby’s  per poco più di 600 mila euro. Sembra quindi che il mercato si stia indirizzando verso i grandi maestri della fotografia, le cui opere sono più legate al contesto storico e alla capacità di narrare il tempo nel quale hanno vissuto e di cui sono stati testimoni. Una scelta influenzata anche dal fattore rarità, una caratteristica fondamentale per qualsiasi forma di collezionismo. In quest’ottica la stampa vintage diviene un vero e proprio moltiplicatore di valore.  

lunedì 2 marzo 2015

La fotografia è morta

Sono piuttosto stufo delle solite dispute tra i fautori della post produzione e coloro che si schierano come paladini della assoluta fedeltà al reale. Tralasciando il fatto che ogni fotografia è solo una possibile rappresentazione della realtà e che i trucchi fotografici esistono da molto tempo prima di photoshop, quello che vorrei puntualizzare è che con il digitale non ha più senso parlare di fotografia come lo si era fatto in precedenza con la ripresa fotografica analogica. Dal punto di vista fisico, è analogico qualsiasi procedimento in grado di rappresentare in modo continuo un fenomeno. La fotografia digitale ha prodotto un cambio di paradigma nella rappresentazione del mondo. Il digitale si contrappone all’analogico, dalla rappresentazione continua a quella discreta. Si assiste ad una trascodifica, ad opera dei sensori delle nostre apparecchiature fotografiche. La luce viene riprodotta, campionata, per mezzo di una serie di numeri binari, ognuno dei quali potenzialmente modificabile. La ripresa del nostro mondo come bozza di una sceneggiatura, il punto di partenza per milioni di possibili attualizzazioni. La rappresentazione del mondo che ci circonda diviene una libera interpretazione, un canovaccio teatrale da variare a seconda delle esigenze. Per questo motivo credo non abbia più senso parlare di fotografia, dovremmo semplicemente abituarci ad essere creatori di immagini più o meno fedeli all’originale. In fondo non vi è molta differenza tra una ripresa fotografica, un rendering o una illustrazione realizzata al computer. Si tratta in tutti i casi di pixel, una sequenza di numeri binari capace di restituirci un’immagine più o meno gradevole. La fotografia è morta, viva l’immagine digitale.

mercoledì 18 febbraio 2015

La più accessibile delle arti


La fotografia è la più accessibile delle arti, la più democratica. Chiunque può realizzare un'immagine fotografica, anche una scimmia. Prima ancora che oggetto artistico, la fotografia è una pratica sociale. Raramente per esprimere un'emozione o fermare un attimo che vale la pena di strappare alla fluidità del tempo, ci serviamo del disegno o della scrittura. Ancora più raro è l'utilizzo della scultura. Sono mezzi questi che necessitano di capacità manuali e intellettive di gran lunga superiori a quelle impiegate per schiacciare un tasto. Cosa può rendere allora la fotografia un'opera d'arte? Considerazioni di carattere estetico, capacità di trasmettere emozioni ? Se così fosse le opere d'arte fotografiche sarebbero milioni, una percentuale significativa dei miliardi di fotogrammi conservati in forma di sequenza binaria su server sparsi intorno al mondo. La verità è che le fotografie come e più della pittura, della scultura e delle videoinstallazioni, si trasformano in arte solo quando vivono, respirano in un ambiente artistico che le ha accettate e del quale per qualche motivo sono entrate a far parte. Per questo il fotografo che vuole imporsi nel mercato dell'arte contemporanea deve indirizzare i suoi sforzi nel difficile compito di introdursi nel giusto ambiente. I contenuti, la forma della sua arte sono secondari. Emergere nel "mare magnum" della produzione di immagini con aspirazioni artistiche è un'opportunità riservata a pochi, a coloro che nascono in quell'ambiente ristretto popolato da critici, curatori e galleristi o che sono riusciti ad entrarne a far parte, grazie a particolari doti di intelligenza sociale. Per tutti gli altri rimane la platea di internet, i facili "like" raccolti sulla rete o le mostre a pagamento in una delle sempre più numerose gallerie "affittacamere".

giovedì 15 gennaio 2015

Andreas Gursky - La logica irrazionalità di una quotazione

Il 2011 può essere considerato l’anno decisivo per la consacrazione della fotografia nel sistema dell’arte contemporanea. Rhein II, un monumentale, quanto anonimo, paesaggio realizzato da Andreas Gursky viene venduto per la cifra sbalorditiva di 4.338.500 dollari.

Analizzare l’ascesa di questo fotografo tedesco, allievo dei coniugi Becher all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, è illuminante per capire le logiche di un mercato che può sembrare governato esclusivamente dall’irrazionalità.

Il cammino artistico di Gursky inizia nei primi anni ‘90 con diverse mostre in Germania e Svizzera, un posto alla Biennale di Venezia nel 1990, quindi a Londra nel 1995 e nel 1996 alla Biennale di Sydney. A quel tempo, la quotazione delle sue opere si aggirava tra i 2.000 e 3.000 dollari, un’inezia rispetto alla quotazione attuale.

La sua carriera decolla veramente nel 1998, anno in cui vince il premio di fotografia della Private Citibank, nonché anno della sua prima mostra negli Stati Uniti e di una retrospettiva al Museo dell’Accademia di Düsseldorf. In questo stesso anno una sua opera di grande formato supera per la prima volta la soglia dei 10.000 euro. Riproposta recentemente all’asta, la stessa opera è stata venduta per l’equivalente di 44.600 €: in quindici anni il suo prezzo è aumentato del 346%.

Nel 2000, anche grazie alla notizia che il MoMA di New York sta preparando una mostra monografica, un’opera di Gursky sfiora i 300.000 euro all’asta, un livello di prezzo che raddoppierà abbondantemente l’anno della sua consacrazione da parte del museo newyorkese. Nel novembre 2001, Christie’s vende, in occasione di una grande asta, un’opera già esposta al MoMA intitolata  Paris, Montparnasse, partendo da una stima pari a 340.000 euro per arrivare ad un prezzo finale di aggiudicazione di 680.400 euro.
Le quotazioni raggiunte dalle opere di Gursky divengono di fatto un indicatore della tendenza del mercato della fotografia.
Da quando nel 2010 è entrato a far parte degli artisti rappresentati della galleria Gagosian, il suo indice di prezzo è aumentato del 72%.

Se si vogliono comprendere i motivi per i quali “Rhein II” ha raggiunto una tale quotazione, non si può non partire dal cammino artistico di Gursky e dalla sua consacrazione da parte di istituzioni prestigiose come il MoMA. Il valore artistico ed economico sembrano andare di pari passo e le quotazioni aumentare nel corso degli anni spinte dalle esposizioni in musei e gallerie di tutto il mondo, che in qualche modo certificano il valore dell’artista. Sembrerebbe, come sostenuto dal filosofo Arthur C. Danto che  ciò che fa diventare un oggetto un’opera d’arte è esterno all’oggetto stesso..
In altre parole l’opera d’arte contemporanea è tale se viene riconosciuta e accolta in un ambito artistico: museo, galleria, critici d’arte, curatori, riviste specializzate.

Diviene allora del tutto sterile interrogarci sulla qualità estetica di “Rhein II”, poco importante porci domande sulla sua anonimità fotografica. Non sono queste le caratteristiche da considerare per giudicare quest’opera fotografica. Dovremmo invece interrogarci sul fatto che gli altri esemplari della stessa edizione sono esposti al MoMA, alla Pinakothek der Moderne di Monaco, alla Tate Modern di Londra e alla Glenstone Collection di Potomac. Sono loro in questo caso a “certificare” il valore artistico del lavoro di Gursky.