Si racconta che Joel Peter Witkin, quando era ancora un ragazzo, abbia assistito ad un evento estremamente drammatico. Un incidente d’auto nel quale rimase decapitata una bambina. Vedendo le sue opere non è difficile capire quanto quell’evento abbia inciso sul suo modo di creare e come non sia mai riuscito ad esorcizzare quei fantasmi. La fotografia come terapia. Un modo per allontanare da sè i suoi peggiori incubi. A Firenze, al Museo Alinari, fino al 23 giugno è possibile entrare nel mondo visionario e surreale di questo artista statunitense. La mostra è sconsigliata, dallo stesso museo, ai minori e alle persone sensibili. I soggetti delle 55 opere esposte, per nulla rassicuranti, sono storpi, mostri, nani e figure deformi. Un viaggio tra visioni del subconscio, spinte erotiche e nichiliste. Un'umanità, quella messa in scena da Witkin, che cerchiamo di rimuovere dalla nostra esperienza quotidiana. Non si tratta di semplice fotografia. Siamo di fronte ad una partitura fatta di segni, di significati e significanti da decifrare. Di continui riferimenti alla storia dell’arte. Le opere sono realizzate senza l’uso del digitale, manipolate per mezzo di collage, graffi, lacerazioni e interventi pittorici. Alla recente asta di aprile, da Phillips De Pury, una sua fotografia, particolarmente raccapricciante, è stata aggiudicata per circa 10 mila euro. Si tratta di uno still life di una testa di una donna morta e di una scimmia (face of woman – 2004).
Nessun commento:
Posta un commento