Nel corso
dell’ultima edizione del SI Fest di Savignano sul Rubicone è stato assegnato,
come ormai di consueto, il Premio Pesaresi. Il progetto premiato dalla giuria è stato “ The Arab Revolt”. Una serie realizzata riprendendo
delle immagini da internet, delle polaroid riprese dal monitor. Una scelta,
questa, che ha provocato non poche reazioni sul web. L’argomentazione
principale degli “indignati” è stata, in sintesi, quella che un premio che
dovrebbe celebrare il reportage, non poteva essere assegnato ad un lavoro fatto
a distanza, con immagini di altri, seduti comodamente dietro ad un monitor. “Il
reportage è morto” è stata la voce che si è levata quasi unanime dalla rete.
Quest’onda emotiva ha portato ad interrogarmi sul senso del reportage, sui suoi
significati e sulla forza visiva che hanno le storie narrate dai reporter che
assistono ad avvenimenti a volte estremamente sconvolgenti . Ho cercato in casa
vecchie riviste e libri fotografici. Ho preso le immagini realizzate da autori
più o meno conosciuti e le ho fatte a pezzi. Osservando i frammenti strappati e
disposti in modo casuale, ho avuto la certezza che il reportage non potrà mai
morire. Le storie raccontate continuavano a vivere sotto i miei occhi, a
trasmettere emozioni, a evolversi in significati più ampi. La sofferenza,
l’ingiustizia, le atrocità commesse in guerre e rivolte, divengono più
semplicemente la sofferenza dell'essere umano. La drammaticità di un campo
profughi nel nord Africa, si traduce nella sofferenza dei poveri della terra.
Pezzi di storie a formare, come in un puzzle, una sola immagine delle tragedie
del mondo.
Di seguito alcune immagini della serie.
Di seguito alcune immagini della serie.
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