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venerdì 27 maggio 2016
lunedì 4 aprile 2016
FUNZILLA FEST- Il primo festival italiano dedicato alle photozine
Si calcola che solo nel 2014 siano state caricate sulla rete
circa 4 miliardi di fotografie. Immagini smaterializzate, custodite
sulla nuvola di internet, in
server dislocati nei luoghi più remoti
del nostro pianeta. Di questo sterminato ammasso di byte una piccolissima parte conoscerà i piaceri
della carta, della stampa e diverrà un vero oggetto fotografico. Il restante
99,9% non nascerà mai, finirà la sua esistenza sul cloud o in qualche hard disk
polveroso.
In Francia la fotografia digitale viene chiamata “photo numérique”
un termine che ben si presta a sancire la distanza che la separa da quella
analogica, legata alle pellicole e ai supporti cartacei.
Esistono a dire il vero alcune sacche di resistenza, alcune
nicchie per pochi eletti che ancora apprezzano inchiostri e carta, che si
commuovono annusando il rassicurante odore delle pagine di un libro. Proprio a
loro è diretto il FUNZILLA FEST il primo festival italiano dedicato alle photozine , libri
fotografici autoprodotti in modo
artigianale in tiratura limitata.
L’evento, nato dalla collaborazione di alcune realtà romane legate al mondo della
fotografia
Fugazine e Monkeyphoto, si svolgerà il 16 e 17 aprile presso la
galleria Microprisma. Durante la due giorni sarà possibile sfogliare e
acquistare fanzine
fotografiche italiane ed estere e partecipare a workshop sulla produzione di photozine.
FUNZILLA
FESTIVAL
Via Conte di Carmagnola, 74
Roma (Pigneto)
Roma (Pigneto)
martedì 8 marzo 2016
Dadaismo e fotografia
Nasceva a Zurigo, cento anni fa’, uno
dei movimenti più innovativi e originali della storia dell’arte: il dadaismo.
Nel pieno del primo conflitto mondiale, nel leggendario Cabaret Voltaire, Tristan
Tzara fondava una delle avanguardie più innovative del primo novecento. Quella che probabilmente più
di ogni altra utilizzò il mezzo fotografico per interpretare la vita. E se la
vita per Tzara poteva sostituire l’arte, allora la fotografia era espressione
artistica allo stato puro, forse lo strumento più adatto all’estetica dadaista.
John Heartfield, Raul Hausmann e
Hannah Hoch sono alcuni degli artisti, che all’interno del dadaismo hanno utilizzato le
tecniche del fotomontaggio e del collage. Spesso al servizio della satira
politica, i fotomontaggi di Heartfield accostavano immagini molto diverse,
incuranti della prospettiva o del rispetto delle proporzioni. Di se stesso
affermava: “il pittore dipinge con i
colori, io dipingo con le fotografie”. Fu uno degli artisti più
politicizzati del movimento. Le sue opere, trovavano nei giornali dell’epoca,
più che nei circuiti artistici, la loro naturale destinazione. Frammenti
prelevati dalla stampa ritornavano così alla loro origine dopo un processo di
risignificazione.
Diverso l’approccio di Hannah Hoch che integrava i
fotomontaggi con interventi di pittura e inserimento di altri materiali.
Un’interprete raffinata del movimento, tra le prime ad intuire le potenzialità
evocative di questo mezzo espressivo. Grazie al suo lavoro in una casa
editrice, reperiva con grande facilità le immagini da quotidiani, riviste popolari
e di moda. Con le sue opere dai toni più intimi e delicati, paragonati a quelle
di Heartfield e Hausmann, affrontava temi anche lontani dalla poetica del
movimento, come la condizione della donna nella Germania dell’epoca.
Con la sperimentazione, il collage e
il fotomontaggio il dadaismo contribuì a rivoluzionare il concetto stesso di
arte che arriverà alle estreme conseguenze con il concettualismo degli anni
sessanta e settanta. Un contributo fondamentale al cammino della fotografia e
alla sua legittimazione nell’arte contemporanea.
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lunedì 18 gennaio 2016
Artisti fotografi e fotografi artisti - Duane Michals
A partire dagli anni sessanta del novecento diviene
centrale la dimensione mentale dell’opera d’arte. Si assiste alla scomparsa
dell’oggetto fisico dalla rappresentazione, riprendendo il processo di
autonomizzazione dell’arte già avviato dalle avanguardie dei primi del
novecento. Il concetto, il significato segnano la loro superiorità nei
confronti del significante, dell’oggetto rappresentato.
Duane Michals scatta le sue prime
fotografie nel 1958 durante un viaggio a Mosca. Negli anni successivi collabora
con riviste di moda e di attualità, affiancando alla sua attività professionale
quella di ricerca personale e individuazione di nuove modalità espressive. Non
crede nella possibilità della fotografia di rappresentare la realtà e la
utilizza per visualizzare il suo universo inconcreto ed esistenziale, fatto di
sogni, fantasie e desideri. All’inizio degli anni sessanta realizza una serie
di ritratti di René Magritte, con i quali riesce a cogliere l’essenza del mondo
rappresentato dall’artista surrealista.
La singola immagine diviene, per il
fotografo statunitense, uno spazio angusto per delineare idee e concetti
assolutamente personali. Inizia così ad utilizzare le sequenze, vere e proprie
storie fotografiche composte da tre fino a quindici foto.
“Non ero soddisfatto del fotogramma, perché non potevo mai
deviarlo verso un messaggio più ampio. In una sequenza la somma delle immagini
fa capire quello che una singola fotografia non è in grado di esprimere”
Il sistema visivo utilizzato da
questo fotografo-artista appare in tutta la sua complessità nelle serie “The fallen angel”, “The human condition” e “The
old man kills the minotaur”, per arrivare fino agli estremi di un’opera
senza fotografia “A Failed Attempt to
Photograph Reality”.
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